
In collaborazione con il Servizio Musei e Biblioteche del Dipartimento Scuola, Educazione, Promozione Turistica, Cultura e Sport
Assaggi quotidiani d’arte – Colore

#1 – 8 giugno – Mario Deluigi, Spazio-Luce 28, 1955-56 (Civico Museo Revoltella)

Nei primi anni Cinquanta, Mario Deluigi aveva studiato i rapporti tra luce e colore considerandoli quali fattori determinanti per costruire lo spazio. Questa ricerca lo spinse a ideare, nel 1953, la tecnica del grattage. Essa consiste nell’intervenire sulla superficie pittorica con dei segni non dipinti ma incisi sugli strati superficiali dell’opera. In Spazio-Luce 28, Deluigi varia la trama del grattage intensificandola nella parte centrale in modo tale che la luce determini una specie di vortice che magnetizza lo sguardo. Ad accentuare l’effetto dinamico di questa spirale concorre la rotazione a quarantacinque gradi della tela.
#2 – 9 giugno – Leonor Fini, Autoritratto, 1968 (Civico Museo Revoltella)

L’effetto luminescente dell’autoritratto di Leonor Fini scaturisce dal contrasto fra i colori complementari del cappello arancio e dello sfondo azzurro. Se la tinta arancio, colore ricorrente in molte opere della Fini, ci riconduce alla pittura preraffaelita e ai capelli delle donne languide e seducenti di Gustav Klimt, l’autoritratto è, anzitutto tutto, espressione della personale carica erotica dell’artista, la quale, combinando le sue sembianze reali con una femminilità ambigua e aleatoria, testimonia sulla tela quanto già espresso a parole: «Sono affascinata dalla androginia che è per me l’ideale. Unisce il pensiero dell’uomo e l’immaginazione della donna».
#3 – 10 giugno – Adolfo Levier, Ritratto di Manlio Malabotta (dono Franca Malabotta al Civico Museo Revoltella)

Lo spirito caustico di Manlio Malabotta emerge perfettamente nel ritratto di Adolfo Levier elaborato con una “febbre cromatica” ispirata alla pittura Fauves conosciuta a Parigi. Con lo sguardo severo, incorniciato da un paio di occhiali alla Le Corbusier, Malabotta sembra lanciare quel monito che rivolse agli artisti suoi contemporanei e che ancor oggi, forse più di allora, tutti dovrebbero tenere bene a mente: «Gli artisti che se ne stanno impantanati in comode formule, cerchino, se possono, di liberarsene, di svegliarsi, di progredire. Altrimenti, pace all’arte loro».
#4 – 11 giugno – Vito Timmel, Fuochi, 1924 (Civico Museo Revoltella)

Vito Timmel raffigura Venezia in una notte festosa ponendo in primo piano una figura di donna contornata da un’orgia di fuochi d’artificio, globi sulfurei, girandole, stelle filanti: un diorama rutilante di linee e colori. L’immagine trascende il soggetto che viene stravolto dal movimento delle linee e dall’energia della massa cromatica in un ardito connubio di grafica secessionista e dinamica futurista. L’artista triestino pone le sue immagini sul quel flebile crinale che discrimina ragione e follia, raffigurando in quest’opera quanto espresso da Friedrich Nietzsche:
“Bisogna avere un grande caos dentro di sé per generare una stella danzante”.
#5 – 12 giugno – Piero Marussig, Ritratto della moglie, 1915 (coll. privata)

Il triestino Piero Marussig risiedette a Parigi fra il 1905 e il 1906 rimanendo incantato dal colore che dominava la pittura francese. Furono soprattutto i contatti diretti con Henri Matisse a determinare la sua cifra stilistica, giocata sull’appiattimento dell’immagine e i contrasti cromatici, secondo il dettato delle stampe giapponesi. Se La Femme au chapeau di Matisse, esposto al Salon d’Automne nel 1905, è alla base delle composizioni pittoriche di Marussig, la sottile vena malinconica che caratterizza i suoi ritratti deriva dall’armonia compositiva di Paul Gauguin.